Molte riflessioni sono seguite l’incontro che ho avuto con Chiara e la sua giovane figlia Anna, promotrici de “La valigia di Marco e Anna” (www.fondazionemunus.it/la-valigia-di-marco-e-anna-fondazione-munus/). La loro storia si è intrecciata con la mia quasi per caso quando hanno deciso di donare all’associazione di cui faccio parte (Sipem SoS Veneto) la loro valigia, con l’auspicio che possa aiutare bambini e ragazzi in eventuali situazioni emergenziali che come associazione di Protezione Civile potremmo essere chiamati a soccorrere.
La storia e l’idea di questo progetto mi hanno colpita e commossa, facendomi molto riflettere su come anche nella terapia e nella cura psicologica il gioco è spesso la chiave nella gestione e nel superamento delle sofferenze della vita.
Il gioco è da sempre considerato appannaggio dell’età dell’infanzia, oramai è consolidata la sua importanza cruciale per lo sviluppo psichico ed emotivo del bambino (Winnicott, 1974). È una forma di espressione naturale nel bambino, che gli permette di approcciarsi all’ambiente inserendovi il suo personale modo di leggere il mondo, sperimentarsi in ruoli sociali, e comunicare i propri stati interni in un contesto protetto. Per questo motivo è utilizzato anche all’interno della stanza di terapia con giovani pazienti, per dare cioè loro la possibilità di esprimere direttamente e senza lo strumento della parola il loro mondo interno (Klein, 1978). Quando l’individuo inizia ad acquisire una certa maturità di pensiero e di parola, il gioco nella stanza viene meno nella sua forma più tradizionale ma ne rimane a mio avviso un caposaldo sebbene declinato in altre forme.
L’impatto psicologico delle emergenze, a qualsiasi livello esse vengano vissute, è molto significativo e il rischio di sviluppare sintomatologie da stress post traumatico risulta notevolmente alto. Per tali ragioni a mio avviso si rende necessario come professionisti della salute mentale rivolgere la nostra competenza anche a queste situazioni, nell’ottica di fornire un aiuto psicologico alle persone si trovano a vivere tali situazioni sia in fase acuta, per limitare la possibilità di cronicizzazione delle risposte traumatiche (Sbattella, 2020), sia in fase preventiva.
I bambini che si trovano a vivere scenari potenzialmente traumatici hanno una vulnerabilità psicologica importante in quanto hanno una struttura psichica ancora immatura e delle risorse limitate che compromettono la capacità di comprendere ed elaborare quanto è loro accaduto. Potersi dedicare anche all’aiuto di questa popolazione, è quindi di particolare importanza.
In quest’ottica l’idea del gioco, come promossa da “La valigia di Marco e Anna”, può aiutare bambini e ragazzi, ma anche gli adulti, a riattivare le proprie risorse pur in uno scenario complesso e difficile, offrendo cosi la possibilità di accedere ad un processo di socializzazione e risocializzazione che un evento potenzialmente traumatico fisiologicamente può compromettere. Favorire una rete sociale di aiuto reciproco è fondamentale in un contesto emergenziale in quanto riattiva le proprie personali capacità di coping e favorisce un maggiore senso di controllo della situazione, contrastando in tal modo sentimenti di disperazione e abbandono.
Inoltre il gioco è un fondamentale strumento di espressione delle emozioni. Giocare permette dunque la libera fuoriuscita di emozioni difficilmente comprensibili e accettabili per l’individuo.
Questa attività offre un canale sicuro e creativo per esplorare e comunicare sentimenti complessi, promuovendo una migliore consapevolezza emotiva e facilitando il processo di elaborazione delle esperienze potenzialmente traumatiche. Giocare ci permette di ballare nel caos, in una sofferenza senza significato che inevitabilmente presto o tardi tocca ogni persona nella vita. Giocare è paradossalmente la strategia più evoluta che abbiamo di dare un senso a qualcosa di insensato e per mettere un pensiero in qualcosa di altrimenti non pensabile.